Inferno. E’ facile andarci?

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«Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli». (Matteo 25,41). Sono le parole di Cristo riguardo la minaccia della dannazione eterna. Tra le più dure pronunciate  da Gesù nei Vangeli. Che cosa hanno fatto le persone nella narrazione evangelica? Hanno fallito o rifiutato tutte le occasioni di amare disinteressatamente il prossimo. Qualcuno parla però della teoria dell’”Inferno vuoto”. Cos’è? È la tesi di un grande teologo e cardinale svizzero scomparso nel 1988. Hans Urs von Balthasar. La tesi di von Balthasar afferma che sperare la salvezza eterna di tutti gli uomini non è contrario alla fede. Essa si basa sull’autorità di alcuni Padri della Chiesa, tra i quali Origene e Gregorio Nisseno, ed è condivisa da diversi teologi contemporanei, tra i quali Jean Daniélou, Henry de Lubac, Joseph Ratzinger (il papa emerito Benedetto XVI), Walter Kasper, Romano Guardini. Da scrittori cattolici come  Paul Claudel, Gabriel Marcel e Lèon Bloy. La Chiesa afferma che chi muore in peccato mortale non si salva, ma non dice se questo sia mai avvenuto. Difatti non ha mai fatto nomi di dannati, come invece si è permesso di fare Dante Alighieri – secondo il suo parere – nella Divina Commedia. E tra questi ben sei papi! Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280), posto nella terza bolgia dell’ottavo girone, con i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303), papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314), Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine il papa dimissionario Celestino V (Pietro Angeleri, 1294)  nell’antinferno con gli ignavi. La Chiesa l’ha invece dichiarato santo. Ma torniamo al peccato mortale. Scrive San Tommaso d’Aquino: «Quando la volontà si orienta verso una cosa di per sé contraria alla carità, dalla quale siamo ordinati al fine ultimo, il peccato, per il suo stesso oggetto, ha di che essere mortale… tanto se è contro l’amore di Dio, come la bestemmia, lo spergiuro, ecc., quanto se è contro l’amore del prossimo, come l’omicidio, l’adulterio, ecc… Invece, quando la volontà del peccatore si volge a una cosa che ha in sé un disordine, ma tuttavia non va contro l’amore di Dio e del prossimo — è il caso di parole oziose, di riso inopportuno, ecc. — tali peccati sono veniali». Per il peccato mortale occorrono tre (difficili) condizioni: Piena avvertenza (mi rendo pienamente conto di ciò che faccio), Materia grave (contro uno dei Comandamenti), Deliberato consenso (il mio atto è assolutamente libero da qualsiasi condizionamento). Condizioni difficili da soddisfare umanamente tutte insieme. Quanti sanno quello che fanno? Difatti dalla croce Gesù pregò: «Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno» (Luca 23,34) lasciando intendere che in molti manca la piena avvertenza. Si parla di dannati in una parabola («il ricco stando nell’inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui») in Luca 16,23, ma non di dannati reali. Mentre il primo beato reale è un malfattore che si converte (Luca 23,43). Siamo noi in realtà che vorremmo un “vendetta” divina, ma Dio è amore. «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?» (Luca 9,54). Difatti – come dice il Vangelo –  Gesù si voltò e li rimproverò. Von Balthasar ricorda di non confondere speranza e conoscenza. Sperare nella apokatastasis – la salvezza di tutti – non vuole dire sapere se l’inferno sia vuoto o no. La possibilità dell’Inferno è però una conseguenza della libertà umana. O l’uomo è libero – e quindi può anche dannarsi – o non è libero. Scrive il cardinale Biffi: «La concreta possibilità della dannazione è necessaria, se si vuol continuare ad ammettere la libertà creata nella sua vera essenza. La libertà dell’uomo non può ridursi alla possibilità di scegliere tra un luogo e l’altro di villeggiatura o tra una cravatta a righe e una a pois; e neppure di scegliere la moglie o il partito politico: la nostra libertà, nel suo significato più profondo, è la spaventosa e stupenda prerogativa di poter costruire il nostro destino eterno. Per non essere puramente nominale, questa prerogativa deve necessariamente includere la reale e concreta possibilità di decidere per la perdizione. Come si vede, il mistero della dannazione è essenzialmente connesso col mistero della libertà, che è forse l’unico vero mistero dell’universo creato». Essi, ancora più sbigottiti, dicevano tra loro: «E chi mai si può salvare?». Ma Gesù, guardandoli, disse: «Impossibile presso gli uomini, ma non presso Dio! Perché tutto è possibile presso Dio». (Marco 10,26-27) Dio non può che amare.

 

Secondo Dante Alighieri vi sono sei papi all’Inferno. Nella «Divina Commedia» sono: Niccolò III (Giovanni Gaetano Orsini, 1277-1280) nella terza bolgia dell’ottavo girone dell’Inferno, per i simoniaci (venditori di cose spirituali) insieme a Bonifacio VIII (Benedetto Caetani, 1294-1303) e papa Clemente V (Betrand de Gouth, 1305-1314). Bonifacio VIII è citato anche nella bolgia VIII per i consiglieri fraudolenti insieme a papa Silvestro I (314-335). Nel sesto cerchio vi è papa Anastasio II (496-498) con gli eretici. Infine papa Celestino V (Pietro Angeleri, 1294) nell’antinferno con gli ignavi. Di questi papi Celestino V è santo.

 

Corpi risorti: come?

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 “Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. (Giovanni 6,40)

 “E questa è la promessa che egli ci ha fatta: la vita eterna”. (1Giovanni 2:25)

 “E’ seminato corpo naturale e risuscita corpo spirituale”. (1Corinzi 15:44)

 Nella risurrezione dei corpi noi avremo un corpo trasfigurato e spirituale (un solido fatto di respiro d’anima – pneuma = soffio di spirito – capace di ubiquità senza ostacoli) consimile al corpo che nel cielo hanno Cristo e la Madonna.

Quindi dopo la risurrezione le nostre anime (ectoplasmi incorporei), che ora non hanno corpo, ne avranno uno che ricorderà solo nella forma (nei lineamenti) il corpo terrestre.

Il corpo spirituale (integro in tutte le sue forme (cioè “formale” e non materiale) è un corpo molto diverso dal nostro fisico, perché è capace di sentire – partecipare – avere volume, ma non carne animale in quanto privo di qualsiasi possibilità di peccare o turbarsi in senso negativo.

Il corpo di Gesù, che ha dato anche la possibilità, dopo risorto, di essere toccato nel costato da San Tommaso, ed ha dimostrato di nutrirsi insieme agli altri apostoli, è di natura gloriosa (materia spiritualizzata e trasfigurata dallo Spirito Santo).

Il corpo di Gesù è Glorioso, tangibile ma spiritualmente Perfetto, assolutamente esente dai difetti della materia.

La volontà e l’essenza, purissima – perfetta e luminosissima, ne hanno fatto, nel mistero incommensurabile delle possibilità divine, preziosissima qualità d’amore e di bene.

Così è anche il corpo della Regina del Cielo, perché è così che Ella si è fatta sentire nell’abbraccio ricevuto dai veggenti in una delle sue tante apparizioni.

IL CODICE DI DIRITTO CANONICO DAL 1983 PERMETTE E CONSENTE LA CREMAZIONE

L’ABBRUCIAMENTO DEL CADAVERE NON PUO’ NUOCERE ALL’ANIMA, PERCHE’ IL MODO DI RITORNARE ALLA POLVERE E’ SOLO QUESTIONE DI DIFFERENZA DI TEMPO

PUR NON PROIBENDO LA CREMAZIONE, LA CHIESA RACCOMANDA IL SEPPELLIMENTO E LA TUMULAZIONE, PERCHE’ LA LENTA TRASFORMAZIONE NATURALE AIUTA A SENTIRSI MAGGIORMENTE E FIGURATIVAMENTE ANCORA COLLEGATI AL CORPO DELLA PERSONA CHE NON C’E’ PIU’

LE SOLE CENERI IMPRIMONO, INVECE, UNO STACCO NETTO.

In contrasto con la negazione della resurrezione da parte dei Sadducei, che accettavano soltanto i primi cinque libri dell’AT (il Pentateuco ), Gesù insegna che la resurrezione finale avrà luogo grazie al potere di Dio, che è un Dio dei viventi, il «Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe» ( Mt 22,32; cfr. Es 3,6). Nel far questo, Gesù ricollega le radici del credo nella resurrezione (cioè la fede nell’onnipotenza e nella sovranità di Dio su tutto l’ordine creato) indietro fino al libro dell’Esodo, accettato dagli stessi Sadducei che negavano la resurrezione. Tuttavia, diversamente dall’insegnamento dei Farisei, Gesù afferma che chi risorge non ritorna ad uno stato di terreno o corruttibile, bensì possederà uno stato trasfigurato, glorificato, perché «alla resurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo» ( Mt 22,30).

In secondo luogo – e questo è l’elemento più specifico della dottrina del NT – la resurrezione avrà luogo non solo grazie al potere vivificante di Dio in genere, ma in virtù della resurrezione di Gesù Cristo dalla morte, con la forza dello Spirito Santo. La resurrezione di Gesù fornisce pertanto la promessa, la garanzia, l’esempio e la primizia della resurrezione universale, che può essere considerata come una «estensione della resurrezione di Gesù a tutto il genere umano». In modo più specifico, secondo s. Giovanni, Gesù in persona è «la resurrezione e la vita» ( Gv 11,25), ed egli spiega: «Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso.  Verrà l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno: quanti fecero il bene per una resurrezione di vita e quanti fecero il male per una resurrezione di condanna» ( Gv 5,26.28-29).

Tutti risorgeremo. Alla nostra libertà la decisione se per il Paradiso o per l’Inferno. In entrambe le condizioni il nostro corpo ultraterreno parteciperà alla beatitudine del Paradiso o alle pene dell’Inferno.

S. Paolo insiste ripetutamente sulla dottrina della resurrezione finale (cfr. At , 24,14; 1Ts 4,14-17; Ef 3,1-4; 1Cor , c. 15; ecc.). Cristo è «primogenito fra molti fratelli» ( Rm 8,29; cfr. Col 1,18). Nel c. 15 della Prima Corinzi egli sviluppa l’idea che la resurrezione finale dipende interamente da quella di Gesù Cristo e colloca questo convincimento al centro della fede cristiana, dicendo che «se non esiste resurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti» (vv. 13-14 e 20). E ancora: «come abbiamo portato l’immagine dell’uomo di terra, così porteremo l’immagine dell’uomo celeste» (v. 49). Per Paolo la resurrezione è come anticipata nella vita presente, per coloro che partecipano alla morte e resurrezione di Gesù Cristo mediante il sacramento del Battesimo (cfr. Rm 6,3-11; Ef 2,6).

Come risorgeremo? La Teologia

Appartiene al dogma della risurrezione che essa avvenga coi corpi che abbiamo ora (“cum suis propiis resurgent corporibus quae nunc gestant” – IV Concilio del Laterano – e “in hac carne, qua nunc vivimus” – Fidei Damasi). Il corpo sarà non solo specificamente lo stesso (il corpo che ho ora). Con questa affermazione, si evita ogni modo di pensare che suggerisca una metempsicosi o una tramigrazione delle anime da un corpo all’altro…

Tre ipotesi teologiche sul come riavremo il nostro corpo il giorno della risurrezione

Gesù Cristo promette che questo avverrà alla fine dei tempi. In Giovanni 6:54 dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. Le ipotesi sulla nostra risurrezione sono:

Identità materiale – perché il corpo sia numericamente lo stesso, si richiederebbe che fosse composto nella stessa materia. Intesa in tutto il suo di rigore, la teoria difficilmente accettabile. D’altra parte, il principio secondo il quale un’identità materiale necessaria perché il corpo possa essere considerato lo stesso, è scientificamente assai discutibile. Dato il metabolismo costante del corpo umano, il mio corpo attuale ha rinnovato totalmente la sua materia da com’era sette anni or sono; e tuttavia, penso con ragione che sia rimasto realmente lo stesso corpo.

Identità formale – una teoria che si colloca all’estremo opposto sarebbe quella proposta, già nel Medio Evo da Durando di San Porciano (+ 1334). Durando suppone che, quale sia la materia di cui è composto un corpo, è il mio corpo per il fatto medesimo che esso s’unisce la mia anima… Bisogna riconoscere che, esposta in questo modo e senza altri particolari, questa teoria lascia l’impressione di una certa somiglianza con la teoria della trasmigrazione delle anime… Joseph Ratzinger, il papa emerito Benedetto XVI, n.d.A.] pensa che non sia necessaria la stessa materia perché il corpo possa essere considerato lo stesso, e ha fatto notare che tutta la tradizione ecclesiastica (dottrinale e liturgica) impone come limite che il corpo risuscitato deve includere le reliquie dell’antico corpo terreno, se si esistono ancora come tali quando avviene la risurrezione. Tali “reliquie” saranno nuovamente animate dall’anima santa al corpo della quale appartennero. D’altra parte, insistendo sul fatto che la nostra risurrezione gloriosa non può essere spiegata senza un parallelismo con la risurrezione di Gesù, pare necessario affermare, come secondo limite, una certa continuità di somiglianza morfologica col corpo mortale.

Alcuni autori medievali, come Durando di s. Porziano (1270 ca.-1334), hanno suggerito che l’”identità formale“, riguardante essenzialmente l’identità dell’anima umana, «unica forma del corpo», sarebbe sufficiente ad assicurare l’integrità del medesimo corpo umano nella resurrezione (cfr. In IV Sent. , d. 44, q. 1). L’ipotesi è stata ripresa in tempi recenti da neo-tomisti quali Hettinger, Scheel, Billot, Michel, Feuling. Tale posizione in realtà non è lontana da quella di Origene, basata sulla comprensione paolina della resurrezione come lo sviluppo di un seme (cfr. 1Cor 15,35), o come la presenza di un’immagine spirituale (gr. eîdos ) che non cambia durante tutte le trasformazioni cui soggiace la vita umana e che persisterà dopo la glorificazione. Tale visione, tuttavia, riteniamo non tributi un sufficiente realismo alla resurrezione di Gesù, avvenuta «il terzo giorno». Essa non tiene sufficientemente conto delle implicazioni escatologiche della perenne prassi liturgica di venerare le reliquie dei santi (cfr. DH 1822; Ratzinger, 1957), ed il significato del dogma dell’assunzione in cielo di Maria, madre di Gesù (cfr. Ratzinger 1979, pp. 120-122). Già in epoca patristica, inoltre, alla comprensione di Origene della resurrezione in termini alquanto “spiritualisti” si opposero le posizioni di altri autori, come Metodio di Olimpo (m. 310 ca.) e Gregorio di Nissa (335-395) (cfr. Crouzel, 1972; Chadwick, 1948; Daniélou, 1953).

Identità sostanziale – Alois Winklhofer ha proposto, recentemente una nuova ipotesi… di fronte a un cadavere che comincia a corrompersi, Dio sottrae e conserva separatamente questa sostanza non fenomenologica del corpo. Il cadavere, a dispetto della sua continuità fenomenologica col mio corpo, non sarebbe più, in questo caso, il mio corpo. Al contrario, partendo dalla sostanza non fenomenologica del mio corpo, Dio ricostruirebbe il mio corpo risuscitato; e appunto la permanenza di questa sostanza (l’identità sostanziale) farebbe sì che sia il mio corpo e non un altro.

L’identità del corpo risorto. Nonostante il carattere eterno e glorioso del corpo risorto, la fede cristiana predica la sua identità con il corpo terreno. La Chiesa la ha insegnata con insistenza riferendosi non solo alla resurrezione dalla morte generalmente intesa, ma alla resurrezione «di questo corpo», «di questa carne» (cfr. O’Callaghan, 1989a). Il termine «resurrezione» indica proprio tutto ciò, in quanto denota una realtà previa e decaduta che assume una vita nuova e definitiva. Si comprende allora perché le affermazioni dei Padri della Chiesa circa la resurrezione finale avevano una veste così fortemente realistica: «la verità della resurrezione non può essere compresa senza la carne e le ossa, senza il sangue e le membra», diceva s. Girolamo ( Contra Iohannem Hierosolymitanum , 31).

L’identità del corpo risorto con il corpo terrestre, tuttavia, non vuol dire una stretta “identità materiale” fra gli elementi fisici della condizione terrena e quelli oggetto dello stato risorto, come già suggerirono i primi autori cristiani, come Teofilo di Antiochia, Taziano, Atenagora o Ilario di Poitiers. Servendosi dell’immagine del vaso di creta ricostruito ancora una volta, presente nel profeta Geremia (cfr. Ger 18,1-10), Origene aveva spiegato che la materia di cui saranno composti i nostri corpi risuscitati non è necessariamente identica a quella del corpo terreno e che, in ogni caso, la logica di tale trasformazione appartiene al potere creatore di Dio (cfr. Homiliae in Jeremiam , 18, 4). Fra l’altro, non va dimenticato che il semplice metabolismo umano rinnova continuamente, in un ciclo di pochi anni, gli elementi fisici e chimici che compongono la materialità del nostro corpo.